Testimonianza 2007

Pubblicato giorno 13 Ottobre 2016 - Senza categoria

La missione evangelizzatrice della Chiesa
all'inizio
del 3° millennio

8 marzo 2007 ore 16,00 Palazzo Centrale Aula Magna, Piazza della Pilotta 4, 00187 Roma

“I giovani evangelizzano i giovani (ambito: Asia)”

Rev.ma Madre Maria Luisa CAPPELLETTI

(Superiora Generale delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore)

Presentando questa testimonianza, che è inevitabilmente frammentaria, faccio riferimento a giovani che ho personalmente incontrato in alcune regioni dell’Asia, dove quest’anno mi sono recata per la mia missione. Essi con semplicità, hanno condiviso le loro esperienze: posso parlare, dunque, di giovani evangelizzatori e di giovani evangelizzati.

In Asia, la Chiesa è un «piccolo gregge» (l’1% circa della popolazione) in un continente di grande ricchezza spirituale: la stessa Chiesa asiatica infatti sta giungendo alla maturità e diffonde missionari anche nelle Chiese antiche, in Europa e in America.

Inizio dalla Cina, dove la Chiesa, ufficiale e sotterranea, è viva e cresce al ritmo di 150 mila battesimi di adulti ogni anno. Fin dall’ultimo decennio del secolo scorso, passati gli anni di forzato isolamento dal resto del mondo, la comunità cristiana ha avuto modo di riemergere dal nascondimento e ha ripreso a vivere con maggiore serenità. Mentre continua la chiusura a qualsiasi presenza missionaria straniera, è possibile, tramite incontri periodici, riallacciare contatti e far partecipi delle innovazioni del Concilio Vaticano II, portando sostegno economico e un contributo alla formazione. La presenza in progetti di promozione umana è vivace, senza però arrivare mai ad avere sufficiente libertà di movimento con una permanenza prolungata sul territorio.

Restano seri problemi per la libertà di religione, assai limitata, e il perdurare della divisione in seno alla comunità cristiana tra una chiesa “ufficiale” ed una “clandestina” (anche se tale distinzione va presa cum granu salis, poichè nella vastità del continente cinese coesistono situazioni completamente diverse, e ciò che si può affermare a proposito di una data realtà ecclesiale, può essere falso in altro contesto). Difficoltà nascono quotidianamente dal divario fra la relativa giovinezza dei nuovi convertiti e la vecchiaia delle leve più anziane: manca un’intera generazione di preti. La formazione culturale e teologica del clero e delle religiose è condotta tra mille difficoltà e talvolta non è aggiornata e unitaria.

Le giovani donne che ho potuto conoscere rivelano il messaggio evangelico proprio attraverso la loro vita. Mi hanno detto ripetutamente che si impegnano più che nei concetti, di marca occidentale, nei fatti e nella voce del cuore. Sono giovani “missionarie” in quanto hanno ascoltato la storia dell’amore di Dio per noi e, dopo averla assimilata nella preghiera, la raccontano con la parola, i canti, la guida spirituale, anche con il silenzio (quando e dove la parola non si può dire), sempre con la fierezza di essere cristiane. Cantano: spesso trovano loro stesse le parole e trasformano il canto in catechesi.

Se agli inizi degli anni ’80, la Chiesa, appena uscita dallo sconvolgimento della Rivoluzione culturale e da una chiusura quasi ventennale dei seminari e dei conventi, era povera di clero, con sacerdoti molto anziani, senza religiose, oggi la Chiesa della Cina è giovane. In molte diocesi l’età media dei sacerdoti è sui 35 anni e fioriscono vocazioni religiose femminili a carattere diocesano. Le comunità cristiane, ufficiali e non, sono passate da una pastorale di sopravvivenza ad un impegno massiccio nella carità, verso orfani, anziani, lebbrosi e malati di Aids. Spesso, dove è stato eliminato ogni sostegno sociale, offrono cure gratuite ai poveri e tali impegni sono ben visti dal governo perché rispondono a bisogni che lo Stato stesso non riesce a soddisfare.

La giovane mi ha riferito che nel suo paese, in campagna, la festa del Natale è attesa con gioia dai giovani, che partecipano con entusiasmo alle iniziative religiose e sono animati dal desiderio di migliorare la realtà in cui vivono. Quando uno di loro subisce sofferenze e fallimenti viene avvicinato con il cordiale desiderio di alleviare il suo dolore. Le giovani missionarie cercano di aiutare la persona a rimettersi in piedi e danno la gioia di sperimentare, attraverso il loro intervento, la misericordia di Dio, più grande di ogni umana giustizia. Ascoltano con fiducia, condividono, sanno stimolare piccoli passi, pregano, danno consigli di vita come “portavoce di Dio”, cercando di essere loro, per prime, coerenti. Esse lavorano fianco a fianco con la gente, anche nella campagna, insieme a chi è povero di beni, di salute, di valori.

L’annuncio rispettoso e incoraggiante, da persona a persona, nella direzione spirituale, è molto efficace: altri giovani – e li ho conosciuti – si aprono al Vangelo, si innamorano di Cristo, che per amore li salva, e scoprono la vocazione a seguirlo, personalmente, nella via della evangelizzazione. Occorre continuare a dedicarsi con impegno alla loro formazione, per renderla solida perchè essi, impreparati ad affrontare il clima culturale e privi di modelli da seguire, rischiano di esaurirsi nell’attivismo e nelle pratiche di pietà, senza maturare nella vita di fede. E’ quanto mai urgente passare da una fede tradizionalista – troppo legata a devozioni e precetti – a una fede più adulta, capace di vivere e testimoniare la gioia del rapporto con Gesù Cristo.

Inoltre, l’emergere del consumismo pone alla gioventù nuove provocazioni. Mentre la attuale possibilità di guadagno ha fornito mezzi per ottenere una quantità sempre più ampia di beni di consumo, l’azione evangelizzatrice non è stata spesso accompagnata da un’adeguata riflessione sull’evoluzione della società cinese e sfugge, di conseguenza, la portata della cultura consumistica.

In occasione del capodanno cinese, in tante parrocchie viene organizzato un ritiro per aiutare a maturare nella fede, con tempi prolungati di contemplazione. E’ la sfida che la missione si trova ad affrontare: all’umanità, che si è affrancata dal bisogno di Dio, occorre offrire la possibilità di un incontro più libero e vero con Lui. Non un Dio “oppio” nella condizione oppressa, ma un Dio vicino, nella sua divina debolezza, Salvatore, nella gratuità dell’amore.

Le giovani evangelizzatrici non hanno paura a parlare di croce: il coraggio della testimonianza dei loro padri è anche il loro.

La Chiesa – ha affermato un professore universitario cinese – è chiamata “ad ascoltare il grido silenzioso nel cuore della gente”, mostrando che “una sana collaborazione fra fede e ragione migliora la vita umana e incoraggia il rispetto per la creazione”. Alcuni sociologi cinesi sostengono che il cristianesimo è quello che ci vuole adesso per la Cina: esso dà il senso del valore della persona che il potere non può schiacciare e crea una mentalità di amore e di carità che spinge a “servire il popolo”. Il motto di Mao,”servire il popolo”, non realizzatosi né col comunismo, né col capitalismo attuale, si potrebbe dunque realizzare con il cristianesimo.

A Shanghai si impone oggi la scarsità delle vocazioni e ciò è motivo di preoccupazione. La volontà di seguire le orme di Gesù ed accrescere la fede per affrontare queste sfide, espressa dal Vescovo ausiliare, Mons. Giuseppe Xing Wenzhi, sta incoraggiando i giovani. Ho partecipato ad una veglia di preghiera con la sua presenza, nella cattedrale di Sant’Ignazio, e ho visto gioventù di viva preghiera che, alla parola del Vescovo ha risposto, pronta a testimoniare in un ambiente di dilagante materialismo.

In Vietnam il governo sta facendo dei passi concreti verso la libertà religiosa: già nel 2006 sono stati levati i limiti numerici alle ordinazioni sacerdotali ed agli ingressi in seminario. E’ molto importante, perché proprio tali limiti avevano creato seri problemi alla Chiesa locale: ora la fede sprigiona all’esterno e i giovani immediatamente rispondono! Durante la mia recente visita ho saputo da una giovane che nella sua parrocchia, ogni sabato, c’è un incontro di preghiera per “studenti emigrati”. Provenienti da diverse diocesi del Vietnam leggono la Bibbia, cantano inni e recitano il Rosario per le Chiese del Vietnam, della Cina e di altri Paesi nei quali i cristiani incontrano difficoltà da parte dei governi.

Un sacerdote mi ha riferito che di fronte ai 40mila sieropositivi nella sola città di Ho Chi Minh – la maggior parte ha meno di 35 anni – la Chiesa si è posta l’obiettivo di mobilitare le persone per combattere la malattia e, al tempo stesso, per aiutare chi è sieropositivo a vivere all’interno della famiglia e della società, evitando timori esagerati e atteggiamenti moralistici che condannino all’emarginazione. Agli inizi del 2005, il cardinale Pham Minh Man ha lanciato un appello ai giovani ed anche alle religiose locali, per inserirsi nei programmi di Organizzazioni non governative religiose che lavorano per le persone sieropositive, offrendo informazione e mezzi necessari. L’appello è sfociato in un rapporto di collaborazione nella gestione e conduzione di un campo (uno dei sei ora funzionanti) a circa 250 chilometri da Saigon. Con programmi di volontariato della durata di 6 mesi, i giovani si alternano e prestano il loro servizio. Sieropositivi, respinti e rifiutati dalla famiglia, costretti a dormire all’adiaccio, sono accolti con amore: hanno padri, sorelle e amici che si preoccupano di loro e se ne prendono cura. Mi diceva il sacerdote vietnamita che la testimonianza di dedizione e di carità nel centro, è strada di evangelizzazione. Ha infatti recentemente battezzato un giovane sieropositivo che si è avvicinato alla fede attraverso la cura e la generosità dei volontari che gli hanno donato amore tangibile. E non è un caso isolato.

Passiamo ora al Giappone: possiamo affermare che il volto cristiano del paese è povero, umile e dimesso, simile a quello di un seme di senape o di un piccolo gregge. Il cristianesimo conta poco più di 500.000 fedeli e la Buona Novella continua a diffondesi, oggi come ieri, soprattutto attraverso il contatto personale.

Nonostante la stima e l’apprezzamento che le opere educative ed assistenziali cattoliche ottengono, solo pochi giovani chiedono di ricevere il Battesimo. Il Cristianesimo è considerato una religione straniera ancora troppo legata alle abitudini e al modo di pensare di noi occidentali, un prodotto della nostra civiltà.

II volto cristiano del Giappone inoltre è pensoso e sofferente perché si trova a lavorare in una realtà sociale in crisi dal punto di vista morale: crisi della famiglia, suicidi, aborti, violenza, squilibri della persona.Sono sintomi di una decadenza morale alla quale si aggiunge quell’ateismo pratico caratteristico di tutte le società consumistiche.

Nonostante questo, il volto cristiano del Giappone è un volto anche pieno di fiducia nell’avvenire, perché nella società esso vuole essere il lievito che fermenta la massa. E’ un volto coraggioso e capace di autocritica. I cristiani – anche giovani – guardano al benessere economico raggiunto, con spirito critico e si chiedono se esso sia stato ottenuto a scapito di altri valori e soprattutto di altri paesi del sud-est asiatico. Con umiltà e con fine intuito, hanno il coraggio di affermare che vi è una palese contraddizione tra l’anelito di pace che gli uomini politici proclamano e il modo reale di condurre la politica, trascurando le esigenze di giustizia sociale di altri popoli.

II volto della Chiesa in Giappone è pure un volto orante, illuminato dalla speranza: lo Spirito Santo è attivo anche in questa società non cristiana. Nei giovani si può notare una profonda aspirazione alla vita interiore e alla contemplazione. Si riuniscono tavolta per pregare e riflettere sul senso della vita, per conoscere il Vangelo ed adorare quel Dio che ancora non conoscono in profondità ma che desiderano amare.

La Chiesa in Giappone oggi è anche missionaria e invia sacerdoti nei paesi che lo richiedono: lo Spirito Santo sta operando una nuova creazione e spoglia a poco a poco il paese della sua mentalità isolana. Pur se la realtà dei cattolici giapponesi infatti è numericamente esigua, questi formano un gruppo di persone profondamente radicato nella fede cattolica e nella propria cultura giapponese.

Concludo riferendo la mia esperienza nelle Filippine, paese asiatico a maggioranza cattolica. Qui, nell’isola di Bohol, ho incontrato giovani impegnati attivamente ad offrire il senso della speranza, nella vita della Chiesa, entusiasti di diventare strumenti di un mondo migliore. Jose Rizal, l’eroe filippino, ha detto che “i giovani sono la speranza della nazione” poiché essi sono ‘sulla linea successiva’. Anche Giovanni Paolo II aveva detto che i giovani sono il tesoro della Chiesa: e questa è la ragione per cui i essi hanno bisogno di una speciale attenzione, poiché, senza guida, potrebbero indirizzare le loro energie in modo distruttivo.

A Bohol, nella Diocesi di Tagbilaran, è stata fondata già nel 1981 una Commissione diocesana della Gioventù e da allora molti giovani ne sono diventati membri attivi con lo spirito del volontariato. Nei due programmi – per le scuole e per le parrocchie – creati per venire incontro alle necessità dei giovani, dato che il personale della Commissione non poteva fare tutto il lavoro per organizzare ritiri, seminari e altre attività formative, molti studenti e giovani professionisti hanno generosamente dato il tempo per questo ministero.

Anche nel Mindanao, a Cagayan de Oro, è vivace l’attività tra la gioventù.

“Giovani al servizio dei giovani” è il motto dei volontari che, formati per essere formatori di altri giovani, non contano il costo e non attendono ricompensa, poiché hanno già sperimentato che nel servire imparano cose che la scuola non ha saputo insegnare loro.

Una giovane mi ha raccontato che allo scopo di stabilire nel Campus Ministry un armonioso scambio, il Consiglio di Coordinazione ha organizzato una Giornata di Amicizia tra le Scuole in una scuola superiore della città, quella Montessori di Gusa.

Il tema dell’evento è stato “DUC IN ALTUM: la Generazione X chiamata a prendere il largo”: come si poteva immaginare, i giovani, nei gruppi, sono venuti a conoscersi, a discorrere sulle loro idee, a scambiare punti di vista, e molto di più. I leaders hanno sottolineato l’importanza della ‘Generazione X’ nella costruzione della nazione e il valore del suo vitale apporto per creare una pacifica esistenza tra gli uomini e per una “nuova evangelizzazione”, che si adatti alle necessità del continente, mantenendo l’autenticità del messaggio: la parola di Cristo.

Vorrei ora concludere questa testimonianza, elevando un pensiero di gratitudine – che può diventare preghiera – ai martiri asiatici, anche nei secoli più recenti, giovani e non più giovani, che hanno insegnato con il sangue a essere testimoni autentici del Vangelo, vicini ai poveri, agli immigrati, agli indigeni, alle donne e ai bambini e a chi subisce le peggiori forme di sfruttamento.