La maternità spirituale di Maria Luisa Cappelletti

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Ho preparato il momento importante della festa con negli occhi e nel cuore la fotografia di quel lontano evento dal quale ci allontanano cinquant’anni.  Un’immagine -forte e strana-  una giovanissima “sposa” con l’abito e il velo bianco ma -sola-  e dietro -compresi e raccolti nell’intensa fede e nella trepidazione che li univa-  i nostri genitori.  Ed eccomi a Roma dove, davanti all’altare, ancora è quell’inginocchiatoio con l’addobbo bianco e un grosso cero; lì suor Maria Luisa ripeterà con convinzione ferma e la stessa gioia le parole della “consegna”.   Ci sono i miei fratelli e sorelle, le loro famiglie, i nipoti, i loro figli, ci sono i sacerdoti amici, anche quelli della prima ora, le consorelle che rappresentano la sua famiglia religiosa, ci sono molti amici e amiche, alcuni arrivati da molto lontano per condividere l’immenso bene di un dono misterioso e grande che tutti ci ha toccato e ci coinvolge.

Celebriamo questo sublime e inaudito “grazie” nel giorno che ricorda la Natività della Beata Vergine Maria; la parola del Signore -Rm 8,28-30, il Salmo 12, Mt 1,1-16.18-23-  squarcia l’orizzonte e ci investe di una luce mai così nuova.  Questa festa di Maria Santissima è il segno alto della “Maternità dello Spirito” Lei al centro della scena mentre il vangelo parla di Giuseppe come di una “presenza” -indicata dall’angelo allo sposo promesso- destinata a durare: “segno” d’amore umanamente gratuito, eppure necessario.   In Giuseppe è rispecchiata la presenza di chi, pur non comprendendo il dono della chiamata, accetta di condividere la grazia della risposta.

Monsignor Sequeri, l’amico vicino sin da quei giorni, ha spiegato che “questa solitudine di Maria, feconda della vita di Dio, strana e insolita per la creatura umana, al tempo stesso dono autentico e sicuro dello Spirito, sempre chiede una condivisione, una protezione, un sostegno. L’affetto che la custodisce, anche quando non può arrivare a comprenderla pienamente, è parte condivisa del mistero celebrato in Maria, la Madre di Dio e nostra. Il mistero afferma che la catena della generazione nella carne e nel sangue, se non si apre esso stesso al dono dello Spirito della generazione di Dio (il Figlio) e della vita di Dio (lo Spirito) sarebbe mortificato. Come se fosse un fatto di naturale ri-produzione della vita, senza irruzione dello Spirito che la dà come dono di Dio. Dimensione troppo piccola e inadeguata, legata a un orizzonte di carne e sangue. “Il generare” è -sempre- molto di più. E l’amore stesso, rinchiuso semplicemente nei legami della carne e del sangue, sarebbe piccolo e limitato, per fiorire nel grembo dell’umanità creata da Dio in vista della sua destinazione all’amore reciproco di tutti i figli della famiglia umana. La “consegna” alla generazione di Dio, che risponde ad una vocazione posta nel segno forte della verginità e in nome di Cristo -lo sposo del vangelo-  esalta questa dimensione spirituale.  E tiene aperto uno spazio che “né la carne né il sangue” possono aprire, per i doni di Dio destinati a tutti coloro che patiscono le ferite di tutti i legami umani della generazione e del sangue. Questo -andare oltre il legame di sangue- è certamente anche una rottura. Eppure, è anche un principio straordinario per la fecondità dei legami dello spirito. Non cancella i legami del sangue, che sono buoni e vitali. (E anch’essi devono essere capaci di rompere l’inerzia della pura riproduzione: anche simbolicamente rompono le acque, tagliano il cordone, escono di casa. Perché i figli sono nuove persone, destinate ad una vita propria. La bellezza della comunità umana sta proprio nella sua capacità di far circolare amore oltre i legami del sangue).  

La trasmissione della vita, dunque, non è solo carne ma anche spirito.  Ci sono fratelli e sorelle del Signore che sono chiamati a dare questa testimonianza.”   

La “maternità dello Spirito”, che Maria Luisa ha accettato come dono misterioso di Dio, destinato a tutti, tiene aperto uno spazio per tutti coloro che hanno perso la coscienza di una dimensione grande e misteriosa dell’esistere, del nascere e del vivere; per tutti coloro che sono stati a tal punto feriti negli affetti, da perdere la fede nell’amore. Lo spazio che la “maternità dello Spirito” tiene aperto è colmo di un amore speciale di Dio, capace di farli rinascere alla speranza e all’impegno.

La nostra celebrazione evidenziava questa “anomalia” benedetta (l’inginocchiatoio di una sposa tutta sola). E insieme esaltava il carattere “eccezionale” di una grazia della quale, noi stessi, comprendiamo qualcosa, ma non tutto. Nella preghiera questo scarto dell’intelligenza si colma, quando chiediamo al Signore di rimanere fedeli alla sua parola di verità: lo Spirito ci spiegherà sempre di nuovo quello che dobbiamo ancora capire.

La comunità degli affetti che sostiene questa speciale storia d’amore, si è poi ritrovata e rivista nel tenerissimo e sapiente filmato realizzato da Saveria.  Così io, Alberta, sorella di sangue, ho riconosciuto il dono generoso di papà e mamma, seme fecondo della tua partenza, segnato dalle lacrime di chi ti ha generata, e insieme accompagnato dalla loro impareggiabile fede.   A te carissima Maria Luisa -la primogenita-  è stato chiesto e ti è stato dato assai di più, il centuplo di nove fratelli: una famiglia più grande nella Casa delle Orsoline Missionarie di Parma.   Una Casa che comprende il mondo: non solo quello famigliare, ma quello umano senza confini, anche geografici.

Sei davvero stata, per tre mandati, la Madre di ogni Comunità: dolce e forte, come lo sono stati, per noi tue sorelle e fratelli, la Mamma e il Papà che -tutti-  ci benedicono e accompagnano, giorno dopo giorno, finché tempo ci sarà dato, prima che Egli venga.

Alberta Cappelletti

 

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